E’ un autoritratto inaspettato, in cui passioni personali, memorie familiari e storia trasformano Maurizio Valdarnini in un soldato-fotografo della 163rd Photographic Company. L’incontro casuale con le fotografie di guerra di Walter Rosenblum, tra i più decorati fotografi dell’esercito americano, ha generato, in modo creativo e imprevisto all’autore stesso, una sorta di gioco suggestivo e consapevole sulla potenza della fotografia storica e sui suoi possibili usi narrativi. Ad attivarlo la pratica della scenografia e ancora prima quella giovanile del modellismo, già sapientemente impegnate nel suo lavoro professionale di fotografo pubblicitario e ritrattista, e la passione, finora privata, per i memorabilia della seconda guerra mondiale. A guidarlo l’emozione dei racconti di prima mano dei propri familiari e l’urgenza di ricordare, con questo omaggio, i fotografi militari e il loro straordinario impegno di testimonianza, poco conosciuto rispetto a quello dei colleghi fotogiornalisti impegnati nei luoghi di conflitto.
Manuela Fugenzi
FOTOGRAFIA Festival Internazionale di Fotografia XIII edizione PORTRAIT MACRO Museo Arte Contemporanea ROMA
Questo lavoro vuole essere un omaggio alla figura del fotografo di guerra dell'esercito. Ruolo spesso dimenticato e in secondo piano rispetto a quello più noto dei celebrati reporter di guerra. Non si tratta di una disputa ma di una doveroso riconoscimento. Mentre i fotoreporter, spesso giornalisti inviati al fronte, hanno narrato e denunciato ai contemporanei le vicende e le atrocità della seconda guerra questi uomini, con il loro silenzioso lavoro, hanno costruito un patrimonio documentaristico di immenso valore. La costanza, l'assiduità e la capacità di penetrazione di questi operatori ci consentono ora di disporre di una ingente quantità di materiale cine-fotografico che nessun giornalista, per quanto coraggioso, ha realizzato. In tutti i teatri di guerra dall'Europa al Pacifico, l'esercito statunitense in particolare, ha collocato decine di unità con il solo scopo di documentare le azioni di guerra dal punto di vista dell'esercito. Il lavoro di questi 'ragazzi' non serviva, nelle intenzione della 'committenza', a produrre una denuncia della guerra, compito questo dei giornalisti, ma a realizzare documentazione con l'incommensurabile risultato di produrre Memoria. Io appartengo ad una generazione i cui genitori hanno, purtroppo, partecipato alla seconda guerra e i nonni alla prima e, da civili, anche alla seconda. Le storie raccontate da loro, anche se con grande reticenza, sono stampate nella mia memoria Le storie raccontate da un padre sono parte di te come se le avessi vissute in prima persona; le emozioni ed i traumi li percepisci con un empatia che ti colloca esattamente nella tragedia. Questa narrazione di 'prima mano' fa si che tu senta come concreta questa esperienza umana e quindi possibile nel novero delle attività dell'uomo e, magari, replicabile. Resta in te un allerta che ti spinge giorno dopo giorno a agire perché questo non avvenga, a educare i tuoi figli al rispetto del prossimo e al dialogo, a non distrarsi poiché la sofferenza e lo sgomento che hai letto negli occhi di tuo padre e di tua madre non debba rivederlo negli occhi dei tuoi figli. Ogni giorno siamo debitamente informati delle guerre che ci circondano nel mondo e tale reiterazione delle notizie ci anestetizza, ci rende, per dirla alla Simmel, "blasé". Ma queste guerre sono altrove non in casa tua, non nel corpo e negli sguardi dei tuoi cari. I reduci di questa tragedia stanno scomparendo e temo che un compito dimenticato della nostra generazione debba essere quello di sentinelle, di traduttori di emozioni perché questo non accada di nuovo perché questo potrebbe accadere di nuovo. Io sono un fotografo ed ho voluto rendere omaggio a dei fotografi che sono stati per me occhi ed orecchie di quella tragedia planetaria che fu la seconda guerra mondiale. Ho scelto di immedesimarmi a tal punto da utilizzare me stesso come modello per offrire , come si dice, anima e corpo al progetto.
M.V.
This work is a tribute to the figure of the army war photographer. This role is often forgotten and overshadowed by that of the best-known celebrated war reporter. This is not a dispute but a necessary recognition. While photojournalists sent to the front have narrated the story and denounced the atrocities of WWII to his contemporaries these men, with their silent work, had built a documentary heritage of immense value. The perseverance, diligence and the penetration of these operators now allow us to have a large amount of cine-photo material that no journalist, no matter how brave, had achieved In all theaters of war from Europe to the Pacific, the U.S. army in particular, has placed dozens of units with the sole purpose of documenting the actions of war from the army point of view. The work of these 'boys' did not serve in the intention of the 'client' to produce a denunciation of the war, this task of journalists, but to carry documentation with the immeasurable result of producing Memory. I belong to a generation whose parents have, unfortunately, participated in the second war and grandparents in the first and also civilian in the second. The stories told by them, though with great reluctance, are printed in my memory. The stories told by a father are part of you as if I had experienced firsthand; emotions and traumas perceive them with an empathy that puts you directly in the tragedy. This narrative of 'first-hand' makes you feel this concrete human experience and therefore can be in the category of human activity and, perhaps, replicable. It is an alarm inside you that drives you day after day to take action so that this does not happen, to educate your children to have respect for others and to dialogue, to not get distracted because the suffering and distress that you read in the eyes of your father and your mother should not be seen in the eyes of your children. Every day we are duly informed of the wars that surround us in the world and the recurrence of the news numbs us and renders us "blase." But these wars are elsewhere, not in your home, not in the body and in the eyes of your loved ones. The survivors of this tragedy are disappearing and I fear that a forgotten task of our generation is to be the sentries, translators of emotions because so that this does not happen again because this could happen again. I am a photographer and I wanted to pay homage to the photographers who were, for me, the eyes and ears of the global tragedy that was the Second World War. I chose to immerse myself so much that I used myself as a model to offer, as they say, body and soul to the project.
M.V.